“Non potrai mai raggiungere un reale successo a meno che tu non ami ciò che stai facendo” [Dale Carnagie] Nel corso del tempo, autori, psicologi, filosofi e studiosi, hanno elaborato teorie in grado di dare una definizione alla “motivazione”. Per definire la motivazione possiamo iniziare creando tre sottosistemi: Ovviamente, la cosiddetta “spinta motivante” resta circoscritta nella soggettività dell’individuo, il quale, a seconda dei propri bisogni e delle proprie aspettative, cerca una motivazione specifica. A trovare una significativa corrispondenza tra bisogni e motivazione individuale fu Abraham Harold Maslow, il quale nel 1954 pubblicò “Motivazione e personalità”. Secondo questa teoria, bisogni e motivazioni hanno il medesimo significato e sono connessi all’interno di una vera e propria scala strutturata in modo che l’ascesa avvenga per strati, ovvero con il soddisfacimento dei bisogni di grado inferiore. La famosa “Piramide di Maslow” raffigura la gerarchia dei bisogni dell’individuo; alla base, al livello più basso, si trovano i bisogni fisiologici, ossia quelli basilari nella vita: alimentazione, respiro, sonno, etc. Soddisfatti i bisogni fisiologici, al livello superiore si trova il “bisogno di sicurezza”, inteso come la necessità dell’individuo di vivere un’esistenza “tranquilla”: sicurezza fisica, occupazionale, morale, familiare, salute, proprietà, etc. Ancora, salendo la piramide, e soddisfatto il bisogno di sicurezza, si giunge al livello cosiddetto “dell’appartenenza”, dove sussiste il bisogno di stringere relazioni extra personali: amicizia, affetto, intimità amorosa. Superato questo livello si accede al bisogno di stima, rappresentato dalla stessa “autostima”, dal self control, dalla realizzazione e dal rispetto reciproco. Infine, al vertice della piramide, al livello più alto nella scala dei bisogni teorizzata da Maslow, vi è l’auto-realizzazione, dove si trova la spontaneità, la creatività, l’accettazione, la moralità e l’assenza di pregiudizi. Scorrendo la piramide è facile notare come dalla base al vertice siano presenti non solo i bisogni, ma veri e propri passaggi sociali ed epocali, dove l’inizio è rappresentato da esigenze “primordiali”, quasi espressione di una civiltà primitiva, mentre salendo si giunge al compimento di una struttura sociale moderna, ed anzi, “evoluta”, dove è presente una società fondata sul totale rispetto della persona, della spontaneità e di concetti culturali come l’espressione della creatività. Dalla Piramide di Maslow comprendiamo quindi l’importanza dei bisogni di grado inferiore, senza il cui soddisfacimento sarebbe impossibile raggiungere quelli superiori, e quindi un piena autodeterminazione dell’individuo. Frederick Irving Herzberg nel 1959 elaborò La teoria bifattoriale, con la quale riuscì a dimostrare che il contesto organizzativo può motivare (o comunque non demotivare) i soggetti che ne fanno parte, attraverso due tipologie di fattori che risultano completamente diversi tra loro, ma che diventano complementari: . fattori igienici (retribuzione, condizioni di lavoro, relazioni interpersonali, rapporto tra vita professionale e personale, sicurezza sul lavoro, supervisione dei superiori, politiche delle risorse umane). Secondo Herzberg tali fattori non hanno una diretta funzione motivante ma, qualora non venissero soddisfatti, avrebbero come conseguenza un aumento del livello di insoddisfazione tra i lavoratori. . fattori motivanti (opportunità di carriera, guadagno, responsabilità, riconoscimento dei risultati, lavoro qualificante, etc.); soddisfano bisogni più elevati, ed hanno come conseguenza un aumento della motivazione e della produttività dei soggetti. A differenza dei fattori igienici, la non soddisfazione di essi non causerebbe l’aumento di insoddisfazione. Possiamo quindi stabilire che i primi risultano strettamente collegati alla sfera organizzativa dell’attività professionale, mentre i secondi si ricollegano a tutto quell’insieme di “spinte motivanti” che vanno oltre la pragmatica concezione del lavoro, facendo leva su quei sentimenti soggettivi in grado di accrescere la motivazione. A tal proposito Herzberg stabilisce cinque fattori fondamentali che indicano quali siano i principali “atteggiamenti positivi”: - essere in grado di raggiungere un obiettivo, - ricevere riconoscimento e apprezzamento, - essere creativi nel lavoro, - avere responsabilità, - ricevere una promozione. Questi cinque fattori fanno parte in maniera diretta del lavoro (si possono sposare con qualsiasi tipo di professione e contesto), ed in essi si cela uno dei sentimenti maggiormente motivanti, ossia la “soddisfazione”, senza la quale ogni individuo sentirebbe notevolmente ridursi la propria spinta positiva. Altri tipi di atteggiamenti vengono definiti da Herzberg come “negativi” e quindi portatori di “insoddisfazione”, i quali risultano di natura estrinseca al lavoro. Secondo Herzberg quindi, soddisfazione ed insoddisfazione non sono concetti diametralmente opposti, ma risultano semplicemente diversi tra loro: per evitare che predomini l’insoddisfazione occorrerà che siano presenti i fattori portatori di soddisfazione. La teoria bifattoriale ha avuto il merito di far evolvere il tradizionale concetto di organizzazione verso un nuovo approccio culturale, dove gli strumenti motivanti non hanno come unico scopo l’aumento della produttività, bensì vengono intesi come un sistema per gestire correttamente le persone, migliorando il benessere delle risorse umane. Questo importante cambiamento, nella pratica ha visto luce attraverso concetti quali: arricchimento delle mansioni, aumento del senso di responsabilità, maggiore autonomia decisionale e gratificazione lavorativa dei dipendenti. Correlata alle teorie dei fattori motivanti di Herzberg, vi è la teoria motivazionale sviluppata dal visionario psicologo David McClelland. La sua teoria fonda le proprie radici innanzitutto su un particolare tipo di bisogno dell’individuo: “il successo”. Questo tipo di bisogno viene inteso quasi come una “sfida” dell’individuo con sé stesso, ovvero come la necessità di conseguire risultati sempre più elevati, di raggiungere alti livelli di performance, e di aumentare i propri standard qualitativi verso criteri di eccellenza. Le persone che hanno un’alta necessità di successo, inoltre sono poco propense a prendere in considerazione sfide troppo facili, poiché in caso di vittoria non avrebbero sufficiente soddisfazione; tali atteggiamenti denotano un grande sforzo professionale orientato alla spasmodica ricerca del risultato finale. All’esatto opposto McClelland descrive le persone con poca propensione al successo (potremmo anche dire: con poca ambizione) le quali nutrono scarsa fiducia verso le proprie capacità, tanto che nel momento in cui è concreto il rischio di insuccesso sviluppano sentimenti negativi come ansia e paura di non farcela. McClelland inoltre teorizza un aspetto della vita lavorativa fino a quel momento mai ritenuto importante, ovvero la necessità del soggetto di intrattenere rapporti positivi con altri membri dell’organizzazione (bisogno di affiliazione); da questo concetto emerge che per molti lavoratori risulta più importante la “relazione” tra colleghi piuttosto che la performance professionale ed il raggiungimento dell’obiettivo. In un’ ottica direttiva, fortemente rivolta al concetto di leadership, la teoria di McClelland introduce la nozione di “bisogno di potere”, ossia l’esigenza di influenzare e controllare il prossimo, non soltanto come semplice potere impositivo, bensì come mezzo per migliorare l’organizzazione di cui si è parte. All’interno delle teorie di processo, fondamentale è quella di John S. Adams, secondo il quale la motivazione dipende da come l’individuo si percepisce nei confronti degli altri. La “Equity Theory” (Teoria dell’Equità), sviluppata da Adams nel 1963 enuncia l’importanza (e le conseguenze) del confronto tra le energie dedicate al lavoro dal singolo individuo, con quanto profuso da altri membri dell’organizzazione. Per il soggetto è importante la percezione di equità tra quanto egli conferisce all’intera organizzazione, e quanto ricevuto da essa, utilizzando come termine di paragone ciò che avviene nei confronti di altri individui (presenti nell’organizzazione). Quando tale rapporto non viene percepito come equo, la conseguenza è l’aumento di tensione e conflittualità. La teoria elaborata da Edwin A. Locke si basa sul collegamento tra motivazione e obiettivo da raggiungere. La Goal Setting Theory (è chiaro il riferimento al “Goal” in termini calcistici: l’obiettivo della squadra è quello di segnare il goal, pertanto l’organizzazione sarà rivolta, e quindi messa in campo, per arrivare a quel risultato) teorizza l’importanza dell’obiettivo finale, grazie al quale il soggetto regola il proprio comportamento. Possiamo dire che per mezzo della concreta definizione dell’obiettivo, l’individuo attiva energie e strategie mentali idonee al suo raggiungimento, pertanto è da esso che dipendono: attenzione sul lavoro, concentrazione e sforzi, impegno profuso, tempo impiegato. Secondo Locke sono quindi gli obiettivi ad essere la base della motivazione, e sono questi a determinare il comportamento dell’individuo, essendo l’unità di misura per determinare quanto impegno occorre nel lavoro. Inoltre, da questa teoria, emerge che più un obiettivo risulta difficile da raggiungere, più sarà alto il livello delle performance. Perché gli obiettivi siano in grado di influenzare positivamente il comportamento occorre: Da non sottovalutare è anche il coinvolgimento della persona all’interno dell’organizzazione; la prestazione risulterà migliore quando i lavoratori sono consapevoli dell’efficacia della propria azione, ma anche quando percepiscono positivamente colui che assegna l’obiettivo. L’Human Relations Movement è un vero e proprio movimento culturale, padre del moderno approccio al lavoro. Il suo fondatore, Elton Mayo, dedicò la sua vita all’importanza della psicologia del lavoro, studiando le connessioni tra la motivazione individuale dei lavoratori e la produttività. Durante la sua esperienza a Chicago, presso la Western Electric, Elton Mayo concentrò la sua attenzione su un aspetto tecnico, da cui scaturì la sua teoria. Stiamo parlando della correlazione esistente tra il grado di illuminazione sul luogo di lavoro e la produttività dei dipendenti; egli notò che quest’ultima cresceva dopo che essi erano stati consultati al fine di assumere una decisione per modificare il livello di illuminazione. Gli studi dimostrarono che l’aumento della produttività non aveva nulla a che vedere con il mero grado di illuminazione, bensì era strettamente collegato al sentimento psicologico dei lavoratori, i quali si sentivano coinvolti dall’azienda nell’assunzione della decisione (in questo caso l’intensità dell’illuminazione). Questo fenomeno oggi è conosciuto come “effetto Hawthorne” dal nome della fabbrica in cui avvenne l’esperimento. Mayo elaborò allora una serie di principi cardine per aumentare la motivazione dei lavoratori: Questi principi pongono in posizione centrale il “fattore umano” del lavoratore, ciò si differenzia sostanzialmente dal Taylorismo, secondo cui il lavoratore era sì parte integrante del sistema di produzione, senza però alcuna possibilità di coinvolgimento nell’assunzione delle decisioni. Grazie ad Elton Mayo oggi tutti conosciamo l’importanza del coinvolgimento all’interno del processo di produzione; fu lui a farci comprendere quanto la motivazione non sia una semplice conseguenza del bisogno economico della persona, ma una vera e propria spinta psicologica determinata da variabili imprescindibili come organizzazione, clima di lavoro, partecipazione. ACE : A. H. Maslow, Motivazione e Personalità, (traduzione di Emanuele Riverso), Roma, Armando Editore, 2010. Titolo originale: Motivation and Personality, 1954 by Harper e Row, Publishers, Inc. Anna Zanardi, Il Coaching automotivazionale, Milano, Franco Angeli, 2003. Risorse Umane HR, Blog HR: https://www.risorseumanehr.com/blog-hr/herzberg-fattori-igienici-e-motivanti, 15 luglio 2018. F. I. Herzberg, B. Mauser, B. Snyderman, The Motivation to Work, Transaction Publishers, New Brunswick (U.S.A.) and London (U.K.), 1959. D. C. McClelland, The achievement motive, Appleton-Century-Crofts, University of Michigan, 1953. https://www.inail.it/cs/internet/docs/le_teorie_motivazionali_pdf.pdf?section=attivita https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/0030507368900044 https://www.mindtools.com/pages/article/newHTE_87.htm https://www.scienzesociali.org/elton-mayo/
FONTI UTILIZZATE